Ritratto d’Abruzzo

 

Un articolo sulla stampa nazionale descrive gli ultimi anni della nostra regione.
Tra speculazioni edilizie e politici corrotti.

Il reportage. Abruzzo, speculazioni ed ecomostri sulle rive del Pescara
Enormi complessi commerciali costruiti su terreni a rischio alluvione

Fango, veleni e colate di cemento
così muore il fiume di D’Annunzio

Le sostanze micidiali stoccate per un secolo sotto il Gran Sasso sono ancora lì
Un intrico di strade, viadotti, parcheggi, cave e aree dedicate alla vendita

 

Fango, veleni e colate di cemento così muore il fiume di D'Annunzio PESCARA
– Scende fango dall’Appennino, la melma del fiume picchia contro
Pescara mentre sull’Abruzzo s’abbatte anche il nubifragio della
politica. In città ormai si parla di “emergenze parallele”: faide e
temporali, cemento e rischio alluvione, piogge torrenziali e sindaci in
manette. E davvero sembra che tutto si imbottigli lì, nella gola del
fiume cantato da D’Annunzio.

L’acqua tempestosa e marrone, gli anni di malgoverno e la questione
morale che ha travolto la sinistra come un’onda di piena dopo la
Sanitopoli di Ottaviano Del Turco.

L’orrore comincia subito, dopo l’incanto delle risorgive di Popoli,
trasparenti tra i salici. È lo sposalizio con i veleni stoccati per un
secolo dalla Montedison ai piedi del Gran Sasso, lì dove emerse la
statua del guerriero italico di Capestrano. Roba micidiale, tipo
Marghera, che per anni ha inquinato l’acquedotto di Pescara e per mesi
è stata nascosta agli abruzzesi. Il terreno doveva essere messo in
sicurezza, ma è ancora lì, sotto la pioggia d’autunno. In alto,
immacolate di neve, Maiella e Gran Sasso. Sotto, un fiume che muore.
Trote malate, boccheggianti, coperte di piaghe. Le puoi quasi prendere
con le mani. Ma il peggio arriva dopo, quando la gola s’allarga. Un
intrico di strade, viadotti, parcheggi, cave, centri commerciali. Il
Pescara diventa uno zombie, le sponde un colabrodo, la valle un Bronx.

Rosciano è in allarme: è prevista una discarica di materiali inerti, in
gestione alla famiglia Bellìa, siciliana, appena colpita da arresti per
traffico di rifiuti illeciti. L’idea è di chi ha progettato un
supermercato poco a valle, sul fiume. “Vada – mi dicono – è grande come
una portaerei. Si chiama Megalò. Ma – ghignano – noi lo chiamiamo…
Regalò”.

Megalò, ai piedi di Chieti, va oltre l’immaginazione. Enorme, lussuoso,
con commesse-veline e guardiani in completo scuro. È il più grande
dell’Italia centrale. Una luccicante astronave del consumo dove si
celebra la fine della cultura appenninica. Ma lo stupefacente è dove
l’hanno costruito: nel mezzo di uno spazio già inondato da metri
d’acqua nel ’92. Il fiume ribolle, a soli cento metri. Chiedo se non
c’è rischio e mi spiegano di no. C’è l’argine appena fatto, alto undici
metri sul letto del Pescara.

Vado a vedere. Una scarpata di pietra ha ingabbiato la corrente e la
golena superstite è stata attrezzata con parcheggi, lastroni in cemento
e sentieri in ghiaia. Il tutto decorato con alberelli (stitici), un
laghetto (vuoto), qualche panchina (già distrutta dai vandali) e
pannelli (illeggibili) a gloria di transumanze morte e sepolte.
Intorno, piloni e scavalco di superstrade. Persone: zero. Fango:
ovunque. Un cartello corona il degrado.

C’è scritto: “Parco fluviale”. Anzi, “Parco di riqualificazione urbana
per lo sviluppo sostenibile del territorio”. Meno male. Non occorre
sapere molto di fiumi per capire che quel tipo d’argine è un
acceleratore che toglie ogni freno all’acqua in picchiata su Pescara.
L’area è bassa, una di quelle tipiche “casse di espansione” dove in
caso di piena si lascia che il fiume dilaghi per non impazzire a valle.
Non ci posso credere. Cerco nel sito della regione Abruzzo. C’è una
mappa del fiume Pescara al 25 mila, con le zone a massimo rischio di
esondazione (R4) segnate in blu. Megalò sorge su una di queste. Un
posto inedificabile, dove i terreni non costano niente. Forse è per
questo che lo chiamano Regalò. Possibile che abbiano dato una
concessione edilizia in un posto simile? Dopo la tragedia di Sarno la
legge lo vieta. Invece sì, l’hanno data. Prima con i timbri della
regione di centrodestra, poi – due anni fa – con l’inaugurazione in
pompa magna del centrosinistra, Del Turco in prima fila. Continuità
perfetta.

Piove di nuovo, cielo giallo monsonico. Scendo a valle, dove la mappa
indica un’altra zona blu. Una spianata agricola, l’ultima cassa di
espansione del fiume. Inedificabile anche quella. Ma nel paese accanto,
a Villanova, mi avvertono che anche lì sorgerà un ipermercato. Di più:
una città commerciale, con un autodromo e mega-alberghi. Una cosa
immensa, mai vista in Italia, grande come la somma di tutti gli
ipermercati già costruiti in zona. La domanda è già approdata alla
commissione ambiente. Anche il nome è già pronto: “Grand Prix One”.

Fango, veleni e colate di cemento così muore il fiume di D'Annunzio

Leggo su internet: un milione di metri quadrati, 1800 addetti, una
“magica combinazione di strutture ricettive, espositive, commerciali e
(sic) esperienziali”. Disneyland e Imola messe insieme. A che serve, in
una regione che ha già la più alta densità europea di ipermercati? Chi
saranno i clienti? E chi ha i soldi per questo immane investimento?
Pare che l’ok della Regione non sia ancora arrivato solo per via della
campagna elettorale. Ma ora tutto dovrebbe sbloccarsi. Megalò ha aperto
la strada.

Scendo ancora verso Pescara, ma non c’è pace per il fiume. Ruspe
s’accaniscono su un’ansa, poco sotto un altro ipermercato, nome “Auchan
Mall”. La riva è stata sostituita da gabbioni in pietra, un querceto è
stato spianato. Intorno, cani liberi. Un disastro. Chiedo che roba è.
Risposta: centraline idroelettriche. Faccio un po’ di conti. Il
dislivello è minimo. Insieme, i due sbarramenti produrranno meno di una
sola pala eolica. Cerco notizie su un giornale abruzzese “on line”, e
la conferma arriva. Quattro megawatt e mezzo contro cinque di un mulino
a vento. Che senso ha? Non c’è risposta. La gente dice: “Addumannètele
a lu commissarie”. Quale commissario? Quello che governa le acque del
bacino, nominato da due anni. Ma cosa fa? Perché non vede tutto questo?
C’è il Pescara che ribolle, gonfio di limo smosso dai bulldozer,
picchia come un golem sulle porte della città. Pare la vigilia
dell’alluvione del ’92, quando spinse in mare 300 pescherecci e decine
di automobili, dopo aver sfondato gli sbarramenti di alberi accumulati.
Nel 1888, quando si scatenò il peggio, l’acqua superò i tetti delle
case portandosi via la gente che s’era arrampicata lassù.

Fango, veleni e colate di cemento così muore il fiume di D'Annunzio

Pescara. Nel Palazzo risposte guardinghe e facce scure. Ma qualcosa
viene a galla: per le centraline i lavori sono iniziati senza
valutazione ambientale. Sembra impossibile ma è così. Per compensare
l’invasione cementizia a monte, “lu commissarie” costruirà a monte
nuove casse di espansione, artificiali. Un’altra manomissione per
compensare una manomissione. A spese di chi? Del contribuente. E
intanto mi illustrano un “piano di navigabilità” del Pescara, con tanto
di chiuse tipo Panama, piste ciclabili e aree picnic. Che intanto il
fiume sia scomparso, non preoccupa nessuno.

Il commissario dunque. Nome Adriano, cognome Goio, ex sindaco di
Trento. Ha pieni poteri sul fiume Pescara e affluenti. Regna su un
terzo delle acque abruzzesi, una delle regioni più ricche di oro blu.
Chi l’ha voluto? Ottaviano Del Turco, l’ex presidente della Commissione
parlamentare antimafia che, eletto governatore, ha chiesto al governo –
allora di centrodestra – di dichiarare un non meglio specificato stato
di “emergenza socio-economico-sanitaria” per il degrado del fiume
Aterno-Pescara. Tutto comincia allora.

È l’inverno del 2006 e l’idea piace al Cavaliere, che pure sta per
decadere causa elezioni anticipate. Gli piace al punto che la approva
come ordinanza, all’ultimo minuto della sua permanenza a Palazzo Chigi,
la sera del 9 marzo 2006. Il provvedimento è sul sito del consiglio dei
ministri, porta il numero 3504, l’ultimissimo del governo. Da nessuna
parte si chiarisce il senso dell’emergenza. Chiarissima, viceversa, la
fretta. Come per un debito d’onore.

Oggi si vocifera di un passaggio di Del Turco al Pdl? Roba vecchia, ti
dicono a Pescara. Tra l’orso marsicano e Berlusconi l’idillio cova da
tre anni. I fiumi non mentono. Difatti il commissario – confermato dal
successivo governo di sinistra – ha carta bianca sul territorio. Può
fare a meno di valutazioni di impatto ambientale e derogare dalla
legislazione italiana ed europea. Oggi risponde a una sola persona:
Silvio Berlusconi, che diventa monarca delle acque d’Abruzzo.

Sembra un’eccezione necessaria ad adeguare rapidamente l’alveo ai
parametri della Ue, ma non è così. “Non posso interferire
sull’urbanistica degli enti pubblici” ci dichiara Goio. “A quei
supermercati avrei dato parere negativo, ma non ho competenza per
bloccare nulla. Sarebbe come se chiedessi ai giudici di liberare il
sindaco di Pescara”. Quando la gente gli ha chiesto di intervenire
almeno sui veleni Montedison, Goio ha obiettato che la cosa non
rientrava nei suoi compiti. Ed era vero: per coprire anche
quell’emergenza gli hanno dovuto dare una seconda nomina a commissario.
Ma anche così sulla Marghera del Centro-Sud non arriva ombra di
contromisura. Contro la Montedison (e i privati in generale) i poteri
assoluti non contano improvvisamente nulla. Niente messa in sicurezza,
niente carotaggi, niente piani di bonifica. E intanto il fiume è in
apnea.

Povero Abruzzo, il fango avanza e l’ultimo scandalo è solo una conferma
del tramonto di un’isola felice. Da tempo mafia e camorra hanno messo
le mani sul territorio, col business dell’edilizia e dei rifiuti. C’è
l’affarone dell’acqua da imbottigliare per una manciata di euro; e ci
sono i “regali” alla grande distribuzione, a spese dei fiumi e della
cultura locale. “Qui – ti dicono – un pastore è asfissiato di divieti,
ma un palazzinaro fa ciò che vuole”.

Il Pescara arriva tumefatto al mare e non trova un metro libero per
uscire al largo. L’ultimo pezzo di arenile con pineta, in comune di
Francavilla, lo stanno cancellando ora, con una linea Maginot di
appartamenti. Ma il bello deve ancora venire, con la Nuova Pescara di
cemento che l’imprenditore Carlo Toto – implicato nell’ultima
storiaccia – s’appresta a costruire a monte di quella esistente.

Il mare non c’è più, le dune sono sparite, i veleni avanzano, il fiume
è diventato una belva selvaggia, ma pochi protestano. Gli abruzzesi
sono abituati a tacere da secoli. La loro è una “regione camomilla”,
utilmente nascosta in una zona d’ombra dei media. Il dossier di
un’azienda multinazionale la descrive così: “facilità di penetrazione,
costi d’insediamento minimi, zero conflittualità sociale”. Soprattutto,
“poche obiezioni ecologiche”. Sembra il Congo, invece è Italia.

Del Turco li ha emarginati tutti, i rompiscatole ambientalisti. Il
direttore del parco del Gran Sasso, quello del parco del Sirente, i
consulenti universitari e i dirigenti attenti alle regole. Nelle liste
elettorali il Pd ha completato l’opera, con i risultati che si vedono.
Ora, la melma degli ultimi arresti. Piove governo ladro, dicono gli
italiani. Forse non è mai stato così vero come da queste parti.